Sezione Preistorica

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Il comprensorio del Monte Beigua che ha il suo centro maggiore nel comune di Sassello, e che, aprendosi dai contrafforti montuosi dell'appennino ligure, si sviluppa verso la piana piemontese, è stata una delle aree ad aver fornito in assoluto i primi reperti o strumenti preistorici conosciuti della Liguria.

Agli albori delle conoscenze sui nostri antenati, più o meno lontani nel tempo, è stato proprio questo territorio, con il Finalese, a fornire i primi sicuri indizi della loro presenza e ciò accadeva verso la metà del 1800.

Il merito di queste prime, importanti scoperte va attribuito a due ricercatori della zona che hanno iscritto il loro nome nella storia della paletnologia ligure creando anche due importanti collezioni che ancor oggi è possibile ammirare.

Si tratta del già citato Don P. D. Perrando e di Giambattista Rossi (1859-1909) che, nel corso delle ricerche sul territorio riuscirono a raccogliere alcune migliaia di manufatti.

Tutti i materiali furono poi descritti e documentati sia da A. Issel ("Liguria Geologica e Preistorica" 1882 e 1908 - "Collezione del sig. G. B. Rossi" 1893) che da N. Morelli ("Iconografia della Preistoria Ligustica" 1901).

Le illustrazioni delle opere sono dovute al Morelli che con grande padronanza dei mezzi tecnici ha fornito alcune delle più classiche illustrazioni di materiali preistorici, secondo un costume del momento che non aveva ancora dato molto spazio alla nascente tecnica fotografica.

I reperti di queste importanti collezioni si possono ancor oggi vedere in gran parte esposti nel Museo Archeologico di Genova-Pegli, alla Villa Durazzo Pallavicini, mentre qualche reperto si trova anche nel Museo di Paletnologia dell'Istituto di Geologia dell'Università di Genova.

Le raccolte più recenti, frutto del meticoloso lavoro di ricerca di superficie che da anni compie il Gruppo Ricerche del Museo Perrando, si trovano invece esposte in questa sezione.

Il lavoro di "survey" del G. R. ha finora interessato l’intero comprensorio, tra le località più significative segnaliamo, in ordine di ricchezza di materiale:

Sez preist 2jpgGrino, Albergare, Lavruti, Colletto inferiore, Montesavino, Serravello, Pianale per il comune di Sassello; Pian dei Buschi per il comune di Pontinvrea; Castellaccio per il comune di Giusvalla; Montebono per quello di Mioglia.

Il Paleolitico

Il comprensorio sassellese, o più generalmente l'area del Beigua, presenta, allo stato attuale delle conoscenze, testimonianze di frequentazioni relative a tutti gli aspetti nei quali vengono suddivise le culture paleolitiche.

In tutti i casi però si tratta di ritrovamenti sporadici o di superficie mentre manca ancora, nonostante il gran numero i reperti recuperati, un sito che da solo ci possa meglio far comprendere una particolare cultura.

Il Paleolitico antico o inferiore è rappresentato da una ventina di reperti fra i quali si segnalano un bifacciale della collezione Perrando, esposto in una riproduzione di resina (l'originale si trova all'Istituto di Geologia di Genova), ed alcuni manufatti attribuibili alle stesse culture, se non addirittura ad altre di maggiore antichità, trovati di recente dal G. R. del museo.

In particolare vanno citati un "chopper" (strumento in quarzite a grana fine, a tagliente convesso), alcune schegge, tra le quali vari coltelli, un épannelé (detto anche "nucleo a calotta") e un frammento prossimale di grande lama protolevalloisiana (quella di "levallois" era una particolare tecnica di scheggiatura della pietra dura secondo una successione predeterminata di operazioni).

Anche per quanto attiene al Paleolitico medio, si possono incontrare in letteratura alcuni esempi molto chiari poi confermati dai recenti ritrovamenti, che si riallacciano in modo molto chiaro alla cultura caratteristica dell’uomo di Neandertal ovvero quella "musteriana": raschiatoi, lame, punte e schegge "levallosiane".

Di tutti gli aspetti paleolitici quello di più difficile interpretazione è proprio quello del Paleolitico superiore, soprattutto tenendo conto dell'accertato aumento dei gruppi presenti. Forse ciò può essere attribuito a particolari situazioni locali o forse, più semplicemente, siamo ancora in attesa di individuare i luoghi precisi di frequentazione o di abitazione, visto che mancano le grotte che altrove identificano in modo immediato, un probabile luogo abitato nei tempi preistorici.

Sembrerebbero da attribuirsi a fasi del Paleolitico superiore o finale alcuni strumenti tipologicamente rappresentativi (grattatoi-bulini-perforatori-schegge) e del Mesolitico (microbulini-triangoli-mezzaluna), dove forse già compaiono anche tipi propri delle culture della fase di passaggio fra quelle dei gruppi di cacciatori-raccoglitori paleolitici e le prime comunità che sul territorio hanno introdotto le importanti innovazioni dell'agricoltura e dell'allevamento.

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Il Neolitico

La parte più consistente dei reperti raccolti dai vecchi ricercatori è certamente rappresentata proprio da manufatti di questo periodo.

Decine e decine di asce levigate in pietra verde di straordinaria fattura (tre esemplari sono riprodotti in una vetrina) che non hanno eguali nel panorama nazionale a testimoniare non solo un uso intenso di questo tipo di strumento ma anche una vera e propria produzione sistematica alla base di un probabile commercio, dato che ci troviamo al centro del "massiccio delle pietre verdi".

Recenti studi da parte di ricercatori francesi, hanno posto in evidenza il ruolo di probabile centro propulsore per tale materia prima per tutta l'area nordoccidentale, compresa parte della Francia sudorientale.

Mentre in questi luoghi nulla è stato ancora portato alla luce seguendo le precise indicazioni stratigrafiche di un sito individuato, ancora di recente il lavoro di "survey" del G. R. ha dimostrato che esistono sempre le possibilità di continuare a ritrovare manufatti anche di queste culture. Questo lavoro potrà in futuro permettere di individuare qualche sito preciso, nonché eventuali luoghi di approvvigionamento delle locali materie prime, che non dovrebbe essere difficile reperire, visto che in molti casi la scelta tecnica dell'uomo preistorico si rivolgeva verso le eclogiti e non su tutte le serpentine in modo indiscriminato.

Le vetrine rappresentano decine di manufatti di questo periodo, significative le punte di freccia, specie la "flèche tranchante" con tagliente trasversale, alcune asce levigate, brunitoi e macinelli.

Sempre per la cultura neolitica una citazione particolare va fatta alla scoperta più importante dell'area del Beigua: la si deve a Mario Fenoglio, che da anni si dedica alla ricerca di manifestazioni preistoriche in questo territorio, specie sul versante costiero.

Si tratta di un riparo sotto roccia, posto in località Fenestrelle ad Alpicella (Varazze). Scavato nel corso di alcune campagne dal dott. G.P. Martino, ispettore della Soprintendenza, ha restituito importanti reperti che vanno dal neolitico medio alle età dei metalli.

L'età dei metalli

Giusvalla e Sassello sono i Comuni che hanno restituito le principali testimonianze di queste culture. Anche se non è stato ancora identificato alcun abitato dell'epoca, si tratta di quattro importanti ritrovamenti di oggetti in bronzo. Tutto il materiale (abilmente riprodotto in vetroresina) è esposto in una vetrina del museo,

Il primo è un ripostiglio rinvenuto nel 1934 presso Bric del Ciaz (Giusvalla) in circostanze ignote, del quale non si conosce neppure l’esatta composizione originaria. Si conservano al Museo Nazionale Archeologico di Torino i frammenti di almeno tre lame di spada e di un pugnale, un rasoio, quattro cuspidi di lancia, un puntale e un piccolo lingotto. Gli oggetti sono databili tra il Bronzo Tardo (XIII sec. a.C.) e l’inizio del Bronzo Finale (XII sec. a.C.); la deposizione sembrerebbe essere avvenuta in quest’ultimo periodo, cui vengono attribuite in particolare le cuspidi di lancia (Gambari e Venturino Gambari 1994). La presenza di oggetti frammentari, allo stato di rottami, rende ragione di una certa differenza di età dei reperti, che almeno in parte devono essere stati tesaurizzati in vista di un riciclaggio.

Sez preist bronzojpgIl secondo e un’ascia rinvenuta in epoca imprecisata in località Bastia Soprana (Sassello), che venne consegnata da un agricoltore della zona (Alessandro Zunino) al locale Museo Perrando all’atto della sua costituzione del 1967. L’ascia sembra da attribuire ad una variante arcaica del tipo Allevard, presente in Piemonte e nell’area alpina occidentale in contesti di Bronzo Recente e Finale, mostrando alcuni caratteri riscontrabili in esemplari del Bronzo Medio dell’Italia centrale (Del Lucchese 1983).

Infine, nel mese di giugno 1997 è stata rinvenuta (Biagio Piombo), in un’area non molto lontana dal precedente ritrovamento, un’ascia a margini rialzati (peso g 300 circa; lungh. cm 17 larghezza taglio cm 6; larghezza tallone cm 2; spessore max mm 8 circa). L’esemplare trova i migliori confronti in area transalpina occidentale nel tipo Neyruz variante B (Abels 1972: n. 125) e nella "forma Avançon" (Chardenoux, Courtois 1979: 40-41), riferibili ad una fase piena del Bronzo Antico (fine Bz Al/fase antica del Bz A2).

L’addensarsi di ritrovamenti di oggetti metallici dell’età del Bronzo in quest’area (Pare provenire dalla zona immediatamente a Nord di Sassello anche un altro reperto metallico: un’ascia a margini rialzati raccolta da contadini della zona e consegnata una trentina dì anni or sono a Tubino A., che la conservò a lungo nel Civico Museo di Masone, il reperto è attualmente in corso di studio.) potrebbe essere in relazione con la presenza di minerale di rame in loco, come suggerito dall’esistenza di miniere di rame ancora coltivate alcuni decenni orsono a poca distanza dai luoghi di ritrovamento (Foresta Deiva).

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Alle età dei metalli in modo generico vanno poi riferite tutte le manifestazioni che da alcuni anni si vanno via accumulando e che anch'esse, per ora, mancano di un contesto archeologico chiaro che possa meglio attribuirle: si tratta di centinaia, forse migliaia, di incisioni rupestri (la sezione espone due pannelli fotografici, curati dalla prof.ssa B. Pizzorno - nella foto con Carla Matteoni e Piero Rossi alla Pietra Scritta), sparse su un territorio vastissimo del Monte Beigua, che vanno delineando un quadro, anche spazialmente, molto articolato e che in misura sempre più pressante stanno a dirci che questo comprensorio deve aver avuto nella preistoria una vicenda molto complessa e tutto sommato ancora ben lontana dall'essere conosciuta in tutti i suoi dettagli.

Le materie prime dei reperti litici

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Già i vecchi studiosi del secolo scorso si erano posti il problema delle possibili fonti di raccolta delle varie materie prime, individuando nell’area del Beigua la provenienza certa di quasi tutta la produzione delle asce in pietra verde levigata.

Riguardo ai materiali in selce, anch’essi rinvenuti in grandi quantità, sino a poco tempo fa non era però possibile avere informazioni precise perché mancavano le necessarie premesse geologiche atte ad individuarne l’origine.

Con le recenti campagne di ricerca del G.R. del Museo Perrando che hanno portato all’acquisizione di notevoli quantità di reperti, differenziati in modo preciso a seconda delle aree di provenienza, si è potuto avere un quadro di maggior dettaglio rispetto alle ricerche condotte nella seconda parte del secolo scorso.

Le località che hanno fornito le maggiori quantità di pezzi di industrie scheggiate sono state quelle che già in passato avevano contribuito in modo sostanziale ad alimentare le vecchie collezioni: Grino, situato nel comune di Sassello e Pian dei Buschi, nel territorio del comune di Pontinvrea, oltre ad altre che propongono però sostanzialmente gli stessi materiali in quantità inferiori a quelli già citati.

Con la schedatura precisa dei reperti si è potuto avere un quadro ben articolato delle materie prime rappresentate.

A Pian dei Buschi sono presenti un diaspro giallo di buona-ottima natura litotecnica e un diaspro rosso che è molto vicino, per qualità, alle radiolariti, peraltro già note dalle serie di Cairo Montenotte. E’ possibile trovare schegge di diaspro la cui qualità si avvicina considerevolmente alla migliore selce, ma anche arnioni indifferenziati con grandi porzioni di cortice per cui è logico pensare a formazioni che sarà forse possibile localizzare in zona.

Anche in Grino esiste un diaspro (ftanite) di colore giallino, sostanzialmente differente da quello di Pian dei Buschi, di medio-buona qualità e grandi quantità di schegge di lavorazione per cui, anche in questo caso, si può pensare all’affioramento in antico di formazioni conosciute.

Non esiste per ora la possibilità di attribuire culturalmente le scelte delle varie materie prime potendosi trovare reperti di varie epoche frammisti fra loro, in modo particolare a Grino dove è certamente ipotizzabile uno scivolamento dei materiali, essendo situati tutti lungo un pendio in declivio verso una depressione orografica.

Queste prime considerazioni sulle materie prime dei reperti rinvenuti nel comprensorio sassellese negli ultimi anni, permettono di aprire un capitolo legato allo sfruttamento delle fonti locali di materie prime che sino ad oggi non era stato neppure affrontato; se consideriamo che le ricerche proseguono anche in nuove direzioni possiamo ragionevolmente pensare che, in un futuro a medio e lungo termine si possano ancora avere dei risvolti di notevole interesse, specie se riferito alle materie prime per le quali non è oggi possibile dare una sicura provenienza.

Sala Rossi

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Il sac. Nicolò Morelli scrisse nell'introduzione del volume "Iconografia della Preistoria Ligustica" del 1901:

"E finalmente ringrazio la gentilissima famiglia Rossi di Sassello per avere gentilmente messo a mia disposizione la stupenda collezione preistorica adunata dal suo capo il Signor Giovanni Battista."

Anche noi siamo infinitamente grati a questa famiglia che con grande generosità ci ha consentito l'allestimento di questa sala, quale doveroso riconoscimento all'illustre ricercatore che tanto onore ha dato al nostro paese.

Ci sono state donate infatti due importanti collezioni.

La prima, grazie alla figlia Maria, è un'inedita raccolta di lastre fotografiche presentata, probabilmente dallo stesso Rossi, all'Esposizione Colombiana di Genova del 1892. Trattasi di ben 156 lastre rappresentanti luoghi e reperti, oggetto della sua attività di ricercatore, dalle grotte del Finalese ai siti del Veneto per l'Italia, dagli insediamenti svizzeri a quelli austriaci e francesi per l'estero.

La seconda, ci è stata donata nell'estate 1994 dalla nipote Giuseppina, è una splendida raccolta di materiale archeologico, forse si tratta delle ultime raccolte del Rossi. Conservata in 45 scatole, alcune con l'indicazione del luogo di ritrovamento, consta ben 2455 reperti così suddivisi: 1056 litici, 107 frammenti di ceramica, 440 fossili, 790 ossa e 62 da definire.

Le due raccolte sono in fase di studio e ci permetteranno una prossima pubblicazione del relativo materiale.