Sezione beni artistici della famiglia Perrando

Nel pieno rispetto del nobile gesto di Ebe Perrando si è cercato di rappresentare nelle quattro sale della sezione la ricostruzione di parte dell’arredo che si trovava nel palazzo secondo la presunta originaria posizione.

Beni famiglia 2jpgLa sala 4 è sicuramente la più reale e suggestiva. Le librerie che coprono le pareti sembrano aver fermato il tempo, quando i membri della famiglia vi si raccoglievano in studi di diritto, teologia, medicina, geografia, archeologia o si distendevano con testi di narrativa e di poesia.

Al centro della parete a destra dell’ingresso un ritratto del già citato don Pier Maria Perrando (1590-1662), di lato due dipinti in olio su tela di un gentiluomo e di una gentildonna di casa Perrando che, sulla base della foggia dell’abbigliamento, vengono datati ai primi decenni del XIX sec.; ai lati della parete, a sinistra un dipinto devozionale di S. Maria Maddalena in meditazione sul Crocefisso con sulla destra il teschio sul quale è poggiato un volume aperto e un vasetto dell’unguento, tra lo sfondo un paesaggio boscoso, datato XVIII sec.; alla destra un dipinto tra una cornice lignea ovale dorata, la scena è ambientata in Paradiso dove S. Nicola, identificato dal simbolo dei tre globi d’oro e dalle insegne episcopali, si prostra dinanzi alla Vergine, la quale gli impone il pallio, seguendo l’ordine di Cristo che assiste la scena, attribuito ad un anonimo artista di cultura ligure attivo nella seconda metà del XVIII sec.

La poltrona e le due sedie, imbottite in velluto, sono in massello di noce intagliato nella tipica forma del neoclassicismo genovese di derivazione francese, fine XVIII sec.; così come in massello di noce intagliato sono le altre poltrone-poltroncine che troviamo nelle quattro sale, dove l’origine genovese è confermata dalla forma, di gusto neoclassico, con alcuni ricordi del barocchetto (sedile, braccioli) e dall’uso del canné.

Tra i vari oggetti esposti nelle vetrine della biblioteca spicca un orologio solare di ottone fuso e inciso, fabbrica Müller L.T. - Augsburg (Germania), metà XVIII sec.

Entrando nella sala 5 alla destra una cassapanca, dai motivi decorativi-forma e tipologia tipici del rinascimento dove i mobili erano sempre in massello, viene datata fine XVII inizi XVIII sec. dalla lastronatura in noce incollata su struttura di pioppo; una poltroncina a canné presenta una originale testa antropomorfa scolpita sulla sommità del dorsale, mentre più comunemente venivano usate le pigne o i rami d’ulivo.

Sulla stessa parete centrale due dipinti del XVIII sec. attribuiti ad un imitatore di Jakob Franz Cipper detto Todeschino, in quanto i soggetti, una filatrice ed un giovane contadino, sono stati spesso usati dal pittore; inoltre: un paesaggio agreste con figure e animali di difficile attribuzione (Travi - Sestri), dal g

usto bozzettistico di carattere forse del settecento; un S. Francesco in estasi sorretto da due angeli attribuito da Camillo Manzitti a Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (1568/1625).; un ritratto di nobildonna di casa Perrando, la pettinatura e la tipologia del corpetto lo datano intorno alla metà del XVII secolo.

Sulla parete adiacente all’ingresso una grande tela, inserita entro una cornice modanata, rappresentante una scena di caccia col falcone, di difficile lettura, arieggiante le tele con Storie dall’Eneide eseguite a fine ‘700 da Gio Batta Magliani pittore savonese. Di fronte all’ingresso una Madonna ascrivibile al XVIII sec. e un ritratto di S. Filippo Neri databile successivamente al 1622, data della canonizzazione del Santo qui raffigurato con l’aureola. Sulla parete sinistra una Adorazione del Bambino, in secondo piano si intravede S. Giuseppe e sulla destra una figura maschile, XVIII sec. Sulla stessa parete una grande tela con scena di esodo, attribuito a Giò Benedetto Castiglione detto il Grechetto (1610/1665) mentre per il Bartoletti trattasi di opera di un imitatore.

Nella sala 6 la prima vetrina di ceramiche di scuola albisolese e savonese tra le quali i due luminosi vasi bruciaprofumi in maiolica di Giacomo Boselli (1744/1808); un vaso XVIII sec. con stemma centrale, marcato con un globo crucifero e lettere B.L., attribuito dal Cameirana alla Società Boselli Giuseppe e Levantino Angelo attiva a Savona nella seconda metà del ‘700; una brocca a forma ad "elmo rovesciato" del XVII sec. di Giovan Battista Croce; una veilleuse XVIII sec. attribuiti a Giacomo Berti; sempre del Giacomo Boselli pare, sprovvisto di marchio, il portauovo a motivi floreali tipico della "rosa di Strasburgo", stile inventato da Hannong e ripreso molto spesso dal ceramista savonese; un vaso bruciaprofumi ad anfora tipico dello stile veneto attribuito a Pasquale Antonibon (1738/1774).

Alle pareti quattro grandi tele. Un paesaggio con figure e architetture in rovina, arieggiante lo stile di Viviano Codazzi, XVIII sec. Inoltre: una adorazione dei pastori, un paesaggio con bovini e dirupo, un paesaggio sempre con bovini con in primo piano una quinta arborea, questi ultimi due vengono attribuiti allo stesso autore, peraltro non identificato come per il primo, databili comunque al XVIII sec.

Sul fondo fa bella mostra un pianoforte recentemente donato dal sig. Tommaso Badano e una serie di poltrone genovesi restaurate negli anni '90 del secolo scorso.

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Nella sala 7 la seconda vetrina di ceramiche, tra le più pregevoli:

un’alzata (piatto circolare con bordura rialzata) tardo settecento, a motivi floreali dipinti dal pittore Paolo Gerolamo Brusco (1772/1820) prodotta dalla manifattura Boselli; ancora un’alzata con scena di vita orientale dipinta da Antonio Maria Coppellotti (1679/1750 ca.) pittore di Lodi; un vaso con trascritto Olli - Laurino e motivi fitomorfi sparsi, potrebbe essere rapportato ai prodotti della manifattura Grosso di Albisola (Savona), la decorazione "a tappezzeria" è tipica del XVII sec.; alcuni coperchi del XVIII sec., uno accostabile allo stile della manifattura di Giacomo Berti; una tazza da brodo a motivi floreali della manifattura savonese Giordano, metà XVIII sec.; ancora della famiglia Giordano una teiera con figura femminile al centro, una tazza, forse da brodo, con cespugli di prezzemolo e figure d’uccelli, un vasetto con decorazione dipinta a festoni fioriti collegati a rosoni del tipo "lambrequin"; infine nella vetrina una formaggera di indeterminata manifattura di Limoges (Parigi) del XIX sec. e una boccia con trascritto A. di boragine che si rifà ai temi fitomorfi delle ceramiche padovane del ‘600.

Al centro della vetrina un busto, rinvenuto nei fondi del palazzo, raffigurante il Rev. Michele Perrando, fratello del Pietro Deo Gratias, l’opera reca sul retro la firma del noto scultore savonese Antonio Brilla (1813/1891).

A fianco della vetrina uno splendido erbario settecentesco, sul frontespizio reca una scritta a mano: "1770 A.D. 18 Maggio. Erbario di Me Vincenzo Martini".

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Il Martini, farmacista nato a Sassello il 16 dicembre 1722, vi raccolse sulle pagine di sinistra 174 esemplari di piante medicinali, per lo più facenti parte della flora sassellese, mentre sulla destra vi è riportata una descrizione sulle più significative caratteristiche botaniche e le principali proprietà terapeutiche, le principali riprese dall’Herbario Novo (1585) di Castore Durante (1529/1590) insigne medico presso la Corte Pontificia di Papa Sisto V.

Mauro Mariotti ne descrive le principali caratteristiche nel quaderno n. 3 del Centro Culturale Comprensoriale del Sassello - 1982: "170 entità specifiche di cui 1 alga, 1 epatica, 7 pteridofite e 161 fanerogame appartenenti a 44 famiglie diverse, tra le quali le più rappresentative sono le Compositae (29) e le Labiatae (21)".

Tra le varie descrizioni alcuni utili consigli come quello relativo alla Betonica, allora usata per curare quasi tutte le malattie e alla quale venivano attribuiti poteri miracolosi come quelli descritti dal Martini di "custodire le anime ed i corpi degli uomini dai malefici, difendere i cimiteri dalle visioni che inducono timori e per proteggere i viaggi notturni dai pericoli".

Questo erbario risulta il più antico fra quelli noti dell’intera Liguria e pertanto motivo di orgoglio per questo illustre e "paziente" sassellese.

Tra i mobili: un divano, una veilleuse e due tavolini triangolari in abete verniciato dove la forma, di derivazione francese, è tipica della Liguria e del Piemonte, e rientra nella produzione di metà settecento del barocchetto. Su di un vi è appoggiato un orologio da tavolo XIX sec. di stile Carlo X, prodotte generalmente in Francia e per questo chiamate "parigine";

Al centro della sala un tavolino da gioco ad angolo, in abete lastronato in noce d’india e gambe in ciliegio, il piano triangolare può aprirsi diventando quadrato appoggiabile sulla gamba centrale che è mobile, tipico della produzione del barocchetto genovese di metà XVIII sec.; mentre le quattro sedie, in massello di noce intagliato e canna d’india intrecciata, che lo circondano, sono di origine piemontese.

Tra i dipinti sulla destra il ritratto del già citato don Pier Maria Perrando; sulla sinistra un ritratto di Benedetta Barberis, consorte del magistrato Giuseppe (Pippo) Perrando: il Camillo Manzitti attribuisce il dipinto a Giuseppe Pelizza da Volpedo (1868/1907), mentre il Bartoletti, pur definendola un’opera di notevole qualità databile alla fine del XIX sec., non ne condivide l’autore; accanto una grande tela rappresentante Rebecca ed Eleazar, il dipinto è opera di un maestro che combina tipologie figurative tipiche della produzione di Giovanni Andrea De Ferrari (Rebecca, la donna china alle sue spalle) e di Gioachino Assereto (il gruppo di personaggi maschili alle spalle di Eleazar), con gli stilemi di Valerio Castello e dei suoi seguaci, databile pertanto alla metà del XVII sec.; ancora di discutibile attribuzione la successiva tela raffigurante Cristo e la Samaritana al pozzo, già attribuita a Luca Cambiaso (1527/1585) il Bartoletti la assegna ad anonimo genovese di fine XVI sec.; poi ancora due tele di notevole interesse: un ritratto di S. Giovanni Evangelista, già ritenuto di scuola caravaggesca napoletana viene attribuito dal Bartoletti ad un’opera di un più tardo imitatore del XVII sec.; una particolare menzione alla tela raffigurante S. Antonio da Padova in estasi davanti al Bambino Gesù e a S. Giovanni, attribuita a Domenico Piola (1627/1703), a giudicare dal segno abbreviato e dalla pennellata veloce e corsiva si tratta forse del bozzetto di una pala d’altare, la tavolozza cromatica luminosa è indicativa delle suggestioni dello stile di Gaulli e del genero Gregorio De Ferrari, con il quale collaborò a partire dal 1676 e pertanto databile agli anni settanta del XVII sec.; a sinistra della vetrina l’Apparizione

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della Vergine a S. Gaetano di Thiene e transito di S. Andrea, di Pietro Costa (1760/1798), si tratta del modello per la grande pala tuttora visibile sull’altare della seconda cappella a destra in S. Maria del Rimedio a Genova; secondo Alizeri (1866) si tratta dell’ultima opera eseguita da Costa prima del decesso, la cronologia si può circoscrivere dopo il 1795, l’anno in cui completò due tele per la parrocchiale di Bonassola; sulla destra della vetrina la tela più pregevole della collezione Perrando, il Cristo Crocefisso con frate in meditazione, attribuito dalla Fausta Marchini Guelfi ad Alessandro Magnasco (1667/1749), commissionato dalla famiglia Perrando nella prima metà del ‘700 si colloca assieme ai numerosi Crocefissi con frate dello stesso autore.