Dedicata al Prof. Mario Garino
(1887-1971), storico locale appassionato anche di ricerche paleontologiche.
Primo presidente dell'associazione Amici del Sassello, fu uno dei fondatori del
museo. Ci ha lasciato il monumentale volume "Storia di Sassello" che
con una messe di scritti e documenti formano oggetto di ricerca per chiunque
voglia occuparsi della storia locale.
Una delle maggiori risorse naturalistiche dell'area del monte Beigua sono i minerali. Di particolare interesse scientifico, sono da sempre apprezzati per la loro conformazione in cristalli di grosse dimensioni - granati, titanite, vesuvianite - dovuta ai profondi rivolgimenti della crosta terrestre che hanno portato in luce quello che i geologi definiscono "gruppo di Voltri".
Attualmente nella zona, parco naturale, è vietata la raccolta dei minerali.
La genesi delle rocce sul massiccio è databile intorno ai 150 milioni di anni or sono, per la solidificazione della massa di minerali fusi e di gas situata sotto la crosta terrestre.
Prima a seguito dei corrugamenti terrestri, poi dalle trasformazioni subite da pressioni ed alte temperature, raggiunse l'attuale formazione.
Numerose sono le varietà di rocce presenti sul territorio, tra le quali le "serpentine" riconoscibili dal colore verdastro. Associati ad esse, avendo subito lo stesso processo di metamorfismo, le rocce scistose ovvero "calcescisti", sedimenti deposti sull'antico fondo marino.
Contemporaneamente alle principali fasi del corrugamento si ebbe la sedimentazione di materiali detritici provenienti dallo smantellamento delle zone, fino ad allora emerse, da parte del mare in avanzamento. Affiorarono così i conglomerati, marne e arenarie, tuttora presenti nel "bacino" Sassello-Santa Giustina.
Siamo nell'Oligocene, intorno ai 30 milioni di anni fa, dell'era geologica Cenozoica o Terziaria.
L'arenaria, impropriamente chiamata "tufo", conserva notevoli quantità di fossili.
I fossili che segnano il limite tra l'organico e l'inorganico non sono altro che i resti di animali o vegetali vissuti in tempi antichi, conservati per pietrificazione o per impronta grazie ad una serie di processi chimici, fisici e biologici che nel loro insieme prendono il nome di fossilizzazione.
La loro presenza permise al Perrando di formulare la teoria, accolta dal mondo scientifico, che nel nostro territorio esistesse un braccio di mare, a volte a carattere palustre, della profondità inferiore ai trenta metri - detto "mare sottile" - collegato da uno stretto canale a sponde alte con il mare
aperto che arrivava a Santa Giustina, dove c'era anche la foce di un grande fiume.
Prova di ciò il ritrovamento di fossili animali prevalentemente nel sassellese e vegetali nella zona di Santa Giustina.
Il plastico presente nella sala (foto in alto), evidenzia come l'attuale golfo di Genova fosse coperto dalle montagne (in basso), mentre l'area sassellese, con l'acquese e l'alessandrino, bagnata dal mare.
La flora del nostro bacino costituiva in quei tempi uno spettacolo meraviglioso, un clima tropicale con una temperatura di 25/30 gradi permetteva la nascita e lo sviluppo di molte specie di piante. Ne sono state trovate di circa 500 specie differenti, e molte di esse hanno destato perplessità e sorpresa fra gli addetti ai lavori.
Infatti, accanto ai resti di vegetali che ancora oggi possiamo incontrare nei nostri boschi, numerosi fossili rappresentano generi attualmente distribuiti nell'America centromeridionale e nei paesi asiatici della fascia intertropicale.
Nella zona di foce: le specie amanti dell'umidità e delle temperature elevate come l'Artocarpus (a questo genere appartiene l'"albero del pane"), le felci arboree (Goniopteris) e le palme gigantesche, con fronde alte fino a 100 metri (Perrandoa, Isselia, Flabellaria, Phoenicites, ecc.); nella zona più interna dove si sviluppava la foresta tropicale: Laurus, Cinnamomum, Magnolia, Sterculia, Bombax, Sapindus e sottobosco di felci, equiseti e liane; nella zona di media quota le specie arbustive di clima meno caldo e più variabile: Myrica, Acacia, Proteaceae, Rhamnaceae, ecc.; nella zona più alta, tra i boschi: Quercus, Castanea, Ilex, Acer, e di conifere mentre nei fondovalle Carpinus, Fagus, Ostrya, Platanus.
Nelle vetrine della sezione è stato dato ampio spazio ai fossili di vegetali, (provenienti dalla raccolta Perrando - l'intera collezione ammontava a circa 9000 pezzi - e da altre recenti donazioni).
Completano la sezione fossili di coralli a polipaio composto e voluminoso paragonabili alle odierne scogliere madreporiche e vetrine di resti di animali, quali lamellibranchi (molluschi bivalvi tipici delle zone litorali), litodomi (molluschi come il dattero di mare da costa rocciosa), ostriche con balani (crostacei di forma conica che vivono fissati agli scogli o alle conchiglie), gasteropodi (vivevano sia in acqua marina sia salmastra), piccoli crostacei e resti di echinodermi (invertebrati tipicamente marini come i ricci e le stelle di mare.
Destano altresì curiosità i Nummuliti che arcaiche leggende paragonavano alle lenticchie pietrificate, simili a piccole monetine (presero il nome proprio da "nummus" ovvero moneta in latino) trattasi invece di resti fossili di organismi unicellulari.
Da oltre un secolo vari studiosi si sono occupati della ricostruzione di quel paesaggio (anche noi abbiamo voluto rappresentarne l'ambiente nel disegno posto nella sezione), tra i più noti oltre al Perrando: Issel, Squinabol, Rovereto, Principi, Lorenz e la Mastrorilli che ha collaborato nell'allestimento della sezione e ha redatto una guida didattica, in vendita presso il museo, alla quale si rimanda per maggiori informazioni.
Il mobile locato nella sezione rappresenta la raccolta bibliografica delle varie dottrine scientifiche contenute nelle varie sezioni e vuol essere un "aiuto" per quanti, studenti e studiosi, vogliano approfondirne le tematiche.